Qual è il più noto dipinto di De Chirico? Caratteristiche e curiosità

Giorgio De Chirico è uno dei principali esponenti italiani del movimento pittorico della metafisica, e tra le sue opere principali, una delle più note è sicuramente Le Muse Inquientati, che realizzo tra il 1917 e il 1919. Grazie ai suoi lavori, De Chirico viene considerato uno degli artisti che hanno promosso la nascita del surrealismo, ma quali sono le caratteristiche di una delle sue opere principali?

Biografia di Giorgio De Chirico

Nato a Volo, in Grecia, nel 1888, in una famiglia italiana, prima di trasfersi di nuovo in Italia, De Chirico passò e seguì gli studi nel paese in cui nacque. Non è difficile credere che l’arte classica ebbe un ruolo indispensabile nella sua formazione artistica, che proseguì a Firenze e a Monaco.

Nel 1909 de Chirico si trasferì a Parigi, dove fece la conoscenza di Pablo Picasso, Paul Valéry e Guillame Apollinaire, ed è proprio in questo periodo che cominciare a dipingere i suoi primi quadri.

Dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, De Chirico e suo fratello Alberto vengono richiamati a Ferrara per il servizio militare, ed è qui che il pittore conosce il futurista Carlo Carrà. Insieme, i due hanno dato vita alla corrente della “pittura metafisica”, che si caratterizzava per l’uso degli strumenti di base della pittura, come la prospettiva o il chiaroscuro, per superare le esperienze sensoriali, lasciando degli spazi “sospesi” per stimolare l’immaginazione di chi lo guarda.

In seguito, De Chirico si stabilì a New York (1936), dove lavorò con Matisse e Picasso, per poi tornare a Roma nel 1944, ed aprire un suo atelier. Vi morì nel 1978, e venne posto nella chiesa di San Francesco a Ripa.

Le Muse Inquientanti

Questo quadro, dipinto durante il soggiorno a Ferrara del pittore, è una delle più note opere di De Chirico. L’ambietazione è uno spazio aperto, dove vi trovare due statue classiche, una in piedi e l’altra seduta, ed entrambe hanno le teste dei manichi usati nella sartoria. Sono chiaramenti femminili, circondate da alcuni oggetti, e ve n’è una terza maschile in fondo. La piazza in cui si trovano è deserta, e sullo sfondo vi si trova il Castello Estense di Ferrara, affiancato ad una fabbrica. I colori sono piuttosto caldi, e la luce è intensa, come quella di un tramonto.

In questo quadro, de Chirico non rende omaggio solo alla città che lo ospita e dove è nata la corrente artistica promossa da lui e Carrà, ma ricalca anche il mondo classico. Mario Ursino, nel suo libro Giorgio De Chirico e l’antico (2006), ha ipotizzato che la figura eretta rappresentasse Ippodamia, figura mitologica, figlia del re di Argo, che fu la causa della mitica guerra dei Lapiti contro i Centauri.

Chiunque volesse rappresentare de Chirico della sua opera, si può presupporre che con il “disumanizzare” le sue muse, l’autore volesse richiamare ad umanità più arcaica, magari proprio com’era ai tempi dell’antica Grecia.

Il significato di quest’opera (ed anche di molte altre della corrente metafisica), forse si può riassumere in questa frase dello stesso De Chirico: “L’arte deve creare sensazioni sconosciute in passato; spogliare l’arte dal comune e dall’accettato…sopprimere completamente l’uomo quale guida o come mezzo per esprimere dei simboli, delle sensazioni, dei pensieri, liberare la pittura una volta per tutte dall’antropomorfismo…vedere ogni cosa, anche l’uomo, nella sua qualità di cosa.

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