Gustav Klimt The Beethoven Frieze: ecco cosa si sa di questo noto quadro

Poco prima che iniziasse il suo periodo aureo, il pittore austriaco Gustav Klimt (1862-1918) dipinse il quadro The Beethoven Frieze, italianizzato come Fregio di Beethoven, databile al 1902 ed oggi conservato alla Palazzo della Secessione di Vienna. Ma cosa si sa di questo quadro?

La sua storia

Klimt realizzò il fregio per la quattordicesima esposizione degli artisti aderenti alla Secessione viennese, che ebbe luogo nel 1902 e l’opera centrale dell’esposizione fu la statua di Max Klinger, dedicata al grande compositore Ludwig van Beethoven, considerato in quegli anni l’ “l’incarnazione del genio”. L’opera di Klimt, invece, fu fortemente criticata dal pubblico, perché le sue figure furono considerate ripugnanti, in particolare le tre Gorgoni che rappresentavano le allegorie di Intemperanza, Lussuria ed Impudicizia, proprio per via degli organi genitali in mostra. Nel complesso, anche l’intera esposizione fu un fallimento.

Tuttavia, il quadro rimase esposte anche dopo la manifestazione, in quanto faceva parte della parete, e non fu distrutto per l’esposizione dell’anno dopo, dedicata proprio al suo autore e quindi rimase nel Palazzo della Secessione. Nel medesimo anno, il collezionista Carl Reininghaus lo acquistò e venne diviso in sette parti. Egli lo vendette poi all’industriale August Lederer, uno dei sostenitori più importanti di Klimt e proprietario di molti dei suoi quadri.

Nel 1938, sotto il governo nazista, l’opera venne confiscata alla famiglia Lederer, perché di origine ebraica, ma venne poi restituito ai legittimi proprietari alla fine della guerra. Nel 1973, fu lo stato dell’Austria ad acquistarli ed esso fu sottoposto a dieci anni di restauro, prima di essere di nuovo esposto nel Palazzo. In occasione dei 150 anni dalla nascita di Klim, il Fregio venne portato a Milano per una mostra, nel 2012, presso lo Spazio Oberdan.

La sua descrizione e tecnica

Per dipingere quest’opera Klimt usò colori alla caseina su intonaco applicato a incannucciato e vi inserì pietre dure e madreperla, fondendo diversi stili pittorici, come la pittura egiziana, la pittura vascolare greca, le stampe di Hokusai e Utamaro, la scultura africana e quella micenea.

Si può descrivere quest’opera suddividendola in tre parti, come faceva lo stesso Klimt, ovvero:

  • Il desiderio della felicità, nella prima parete lunga di fronte all’ingresso, in cui le figure rappresentavano le debolezze del genere umano e le suppliche per la compassione e la voglia di lottare;
  • Le forze ostili, nella parete più corta, si rappresenta il gigante Tifeo, che gli dei combatterono invano, affiancato a sinistra dalla sua figlie, le Gorgoni, che rappresentavano la malattia, la morte, la follia, la volontà, la lussuria e l’eccesso, per rappresentare le angosce che affliggono gli uomini;
  • Il desiderio di felicità si placa nella poesia, lungo la parete lunga, in cui le figure rappresentano le arti che conducono nel regno ideale, dove si trovano pace, felicità ed amore in modo assoluto.

Da notare, sulla parete sinistra, è L’Anelito alla felicità, in cui sono rappresentate delle figure flessuose e fluttuanti che si muovono nello spazio, seguendo un ritmo che può ispirarsi ai dipinti di Jan Toorop. Secondo alcuni studi, il cavaliere con addosso l’armatura dorata potrebbe essere Gustav Mahler.

Leggi anche:

Condividi su: