Terreni di coltura microbiologia: ecco cosa c’è da sapere su di essi

I terreni di coltura, generalmente, sono soluzioni liquide o solide che contengono sostanze nutritive, in cui è possibile far crescere delle cellule, eucariote e procariote. Ma chi li ha usati per primi? Quanti tipi ce ne sono?

La loro storia

Le origini di questi terreni si può far risalire all’Ottocento, quando la microbiologia cominciò a muovere i primi passi. A sviluppare uno dei primi terreni di cultura fu il chimico francese Louis Pasteur (1822-1895), che lo realizzò con un ceneri, zucchero e sali di ammonio. Lo scopo era di dimostrare che la fermentazione era da associare ad un particolare organismo, ed osservò che alcuni componenti della sua “zuppa di lievito” favorivano la crescita e la moltiplicazione dei batteri, mentre altri la inibivano.

In seguito, nel 1881, il medico tedesco Robert Koch (1843-1910), fece un esperimento con un brodo di siero di manzo fresco ed estratto di carne, per osservare la crescita dei batteri in un mezzo di coltura più solido, aggiungendovi anche la gelatina, ma questa aveva dei limiti perché ad una temperatura più alta di 25° C diventava liquidi, così una delle sue assistenti, Fannie Hesse, provò con l’agar agar e ciò gli permise di isolare i batteri presenti sul composto solido, per ottenere delle colture batteriche pure.

Le caratteristiche delle colture

Perché siano adatti alla crescita di organismi, queste colture devono presentare alcune caratteristiche, come la concentrazione di nutrienti adatti per la crescita di batteri, un pH giusto, un adeguato grado di umidità ed essere situati in contenitori sterili e protetti, in modo da evitare contaminazioni.

Essi si possono classificare in terreni liquidi, o brodi, in cui i nutrienti vengono sciolti in acqua e la crescita dei batteri è legata alla loro torbidità, ma può essere difficile isolare i batteri in questi terreni, e i terreni solidi, per cui occorre un agente gelificante, come l’agar agar, per ottenere una consistenza che sia in grado di isolare poi i batteri. Questi terreni si possono, poi, associare a dei terreni veri e propri, e a nutrienti come l’acqua, il carbonio, l’azoto e i sali minerali, se utili a favorire la crescita degli organismi batterici. Si può anche fare la distinzione tra terreni sintetici o complessi, di cui i primi si conosce l’esatta composizione, a differenza dei secondi, che possono contenere peptoni, estratti di carne o di lievito.

Esistono anche diverse tecniche di semina, ovvero nel trasferimento dei microrganismo dal loro ambiente naturale a queste colture, come:

  • l’isolamento, o striscio, in cui si usa un’ansa sterile, in modo da isolare le colonie batteriche;
  • la semina a becco di clarino, dove si inserisce l’agar agar, o un altro agente per solidificare il terreno, in una provetta inclinata, in modo da esportare la patina;
  • la semina per infissione, che prevede l’uso di una provetta ed un ago per inoculare.

Per procedere poi alla semina vera e propria è necessario prima pesare gli ingredienti, che andranno poi dissolti e corretti nel pH, per essere distribuiti in recipienti, se si tratta di terreni liquidi. Avviene poi la sterilizzazione dei terreni, la distribuzione in capsule di petri, nel caso di terreni soldi ed il controllo della loro sterilità.

Leggi anche:

Condividi su: