Sonetto dedicato ai biondi capelli parafrasi: ecco chi è l’autore e cosa dice

Di elogi ai capelli biondi se ne possono trovare numerosi nelle poesie e nei sonetti, ma uno degno di nota è sicuramente il Sonetto dedicato ai capelli biondi della sua donna di Giovan Battista Marino. Ma chi era quest’ultimo? E cosa si sa di questo sonetto?

La vita di Marino

Giovan Battista Marino nacque nel 1569 a Napoli, in una famiglia che probabilmente aveva origini calabresi, ma che non pareva né nobile né ricca, ma sembra che egli fosse il primo di sette figli. Da ciò che riportano le fonti, sembra che abbia iniziato fin da piccoli i suoi studi umanistici e frequento anche l’Accademia degli Svegliati nel 1586, ma oltre a proseguire i suoi studi letterali, pare che Marino sia stato incarcerato due volte, ma riuscì sempre a scamparla.

Dal 1600 in poi, egli soggiornò in varie città d’Italia, ovvero Roma, Ravenna, Torino e Parigi, dove continua la sua carriera di letterato e frequenta vari personaggi noti, tra cui il cardinale Pietro Aldobrandini oppure il poeta genovese Gaspare Murtola. Nel 1623 rientra poi in Italia, sostando dapprima a Roma, ma vi rimane pressoché un anno, visto che una delle sue opere più note, L’Adone, viene inserito nell’Indice delle opere proibite. Torna così infine a Napoli, in cui viene ricevuto con tutti gli onori da nobili e letterati, e vi rimane fino alla morte, avvenuta nel 1625, e alle sue esequie vi partecipano sempre numerosi letterati.

Il sonetto e il suo significato

Le opere di Marino sono numerose, come il già citato L’Adone, uscito nel 1623, in cui si descrivono le vicende amorose del celebre personaggio greco e di Venere. Il sonetto dedicato ai biondi capelli è tratto tuttavia da una sua raccolta di poesie, La Lira, uscito nel 1613, e che ha una gran fortuna in quanto presenta tutti gli elementi del marinismo, uno stile poetico che si caratterizza per la sua arguzia, il cui nome è preso proprio dal celebre poeta.

Il Sonetto dedicato ai capelli biondi della sua donna, prende degli spunti petrarcheschi e si concentra sull’effetto che fanno i capelli dorati della donna in questione. Il suo testo dice così:

“A l’aura il crin ch’a l’aura il pregio ha tolto,
sorgendo il mio bel Sol del suo oriente,
per doppiar forse luce al dì nascente,
da’ suoi biondi volumi avea disciolto.
Parte scherzando in ricco nembo e folto
piovea sovra i begli omeri cadente,
parte con globi d’or sen gia serpente
tra’ fiori or del bel seno or del bel volto.
Amor vid’io, che fra i lucenti rami
de l’aurea selva sua, pur come sòle
tendea mille al mio cor lacciuoli ed ami;
e nel sol de le luci uniche e sole
intento e preso dagli aurati stami,
volgersi quasi un girasole il sole”

In questi versi, tuttavia, la bellezza della donna, a differenza della Laura di Petrarca, non è astratta ed idealizzata, ma più reale, paragonata a quella delle gemme, il tutto rafforzato a livello fonologico in quanto le parole come aura, auro, sorgendo, oriente, etc, riportato per parole “oro” ed “aur”, in chiaro riferimento all’omonimo metallo.

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